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LE TRADIZIONI

La tradizione gastronomica locale

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La sostanziosa cucina locale è quella tipica delle zone di montagna. Tra gli ingredienti più usati ci sono le patate silane, i cavoli, le carote, le fave, i fagioli e le cicorie. Nelle giornate più fredde, inoltre, nelle pentole borbottanti delle massaie di Panettieri non manca quasi mai un buon minestrone arricchito dalle gustose cipolle prodotte nelle zone vicine. Molto usata è anche la carne, che qui si arricchisce di prelibate alternative come il cingiale e la lepre, mentre la pasta, spesso fatta in casa, è condita con gustosissimi ragù.

Altra tradizione è quella della preparazione di insaccati come salsicce, capicolli e soppressate, e di contorni sott'olio come olive schiacciate, melanzane e pomodori, spesso utilizzati per inaugurare i convivi più ricchi.

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I formaggi prodotti, semplici e aromatizzati, sono in genere le ricotte fresche e stagionate, i tomini e le tradizionalissime "Jungate", prodotti tipici della tradizione la cui ricetta viene tramandata di generazione in generazione. Anticamente chiamate "casuricotte", le Jungate sono dei composti di ricotta e formaggio, da cui la provenienza dell'antico nome. Il processo di lavorazione è particolarmente complesso e lungo, in considerazione del fatto che si può trovare sul mercato sia affumicata che asciugata al sole, e con differenti forme. Vengono infine prodotti anche altri tipici formaggi: semi-duro, affumicato, al peperoncino, alle ceneri, all'olio d'oliva, alla rucola, alle foglie di noci e alle vinacce.

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Tra le principali produzioni artigianali si segnalano i "Taralli", biscotti salati a forma di piccola ciambella, aromatizzati con semini di anice. Particolarmente legata alle festività del Natale, della Pasqua o del Carnevale è invece la preparazione di prodotti come le pittelle (queste ultime erano preparate con un impasto di farina di castagna e di segale che veniva steso sul timpune e lasciato a lievitare per poi essere fritto nell'olio), le grispelle (ottenute dall'impasto di farina e fecola di patate, talvolta con l'aggiunta di sarde), i pirilli (dolci di farina di castagne e di segale così chiamati perché l'impasto veniva versato nella padella con un cucchiaino e nella caduta assumeva l'aspetto di una piccola pera), le pignolate (piccoli impasti di farina di grano tenero fritti e ricoperti di miele), i turdilli (dolci ottenuti con l'aggiunta nell'impasto di mosto e miele) e le chiacchiere (preparate con pasta sfoglia e ricoperte di zucchero a velo.

Antichi mestieri

La parte più consistente del lavoro del calzolaio, eccezion fatta per la realizzazione da nuovo delle calzature, consisteva nelle riparazioni. Questo perché farsi confezionare un paio di scarpe nuove costava molto di più che ripararle. Generalmente i contadini non indossavano scarpe d'estate, riservandole per l'inverno. Si possedeva un solo paio di scarpe, dozzinali e resistenti, rinforzate nella suola e nei tacchi con i chiodini (simìci). Nelle famiglie - specialmente tra i figli che crescevano - con le scarpe avveniva una sorta di passaggio del testimone: il componente più grande le passava al più giovane. Quando i campagnoli dovevano recarsi in paese, facevano buona parte del tragitto scalzi, con le scarpe a penzoloni sulle spalle legate per i lacci, indossandole solo in prossimità del centro abitato. Era un metodo per limitarne al minimo l'usura. La bottega del calzolaio era impregnata degli odori più strani: colla, pece, grasso cromatina; ed era un luogo d'incontro per scambiare quattro chiacchiere col calzolaio, che parlava senza mai distogliere lo sguardo dal suo lavoro.

Il latte munto, tanto un tempo quanto ai giorni nostri, viene spesso trasformato in formaggio e ricotte. Il casaro, avvalendosi della sua esperienza, metteva il latte in un pentolone e dopo averlo fatto coagulare con un poco di caglio (cagliatura), lo poneva sul fuoco e girandolo con un bastone otteneva il cacio, che costipava in apposita forma detta "fiscella". Il siero rimasto nel pentolone veniva ribollito e dalla sua ricottura si producevano dei fiocchi bianchi che risalivano in superficie formando uno strato di ricotta che veniva raccolta in "fiscelle" di forma lunga e sottile.

Il caglio si otteneva facendo essiccare lo stomaco pieno di latte degli agnellini ancora lattanti. Lo stomaco prelevato veniva appeso ad una trave vicino al caminetto ed il latte si trasformava in una crema molto acida detta "caglio".

Il fabbro era un artigiano che godeva di molta considerazione nei diversi territori. Infatti, i paesi a vocazione agricola non potevano fare a meno di questo professionista lavoratore dei metalli. Con l'incudine, le pinze e le tenaglie, i martelli e le mazze, il fabbro modellava le barre di ferro incandescenti, che cedevano sotto i suoi colpi vigorosi, diventando zappe, vanghe, mannaie, accette, falci, picconi, roncole ferri di cavallo e brocche. Il fuoco doveva essere vivo e ininterrotto. Per aumentare il tiraggio sul carbone di legna, il fabbro utilizzava un mantice a forma di soffietto fatto di legno e cuoio.

I falegnami del passato lavoravano tutto a mano. Quando si trattava di lavori pesanti come portoni o armadi utilizzavano viti capaci di penetrare profondamente nel legno, con il cacciavite a mano, lavoro particolarmente arduo quando si doveva perforare un castagno. Ogni gruppo di falegnami cercava di migliorare il proprio lavoro, di renderlo più bello e forte e a volte inventava delle modifiche da apportare ad un pezzo che lasciava meravigliato chi l'osservava, ma che, in ultima analisi, accorciava i tempi di lavorazione e permetteva di starci dentro con il guadagno a lavoro finito.

In tutte le botteghe, specie in quelle di un certo rilievo, c'erano dei banchi di lavoro lunghi, larghi e pesanti ai cui fianchi non mancavano le morse per poter stringere e tenere fermo il legno da lavorare. In passato quasi tutti i mobili di una famiglia erano costruiti nelle falegnamerie locali. Si costruivano armadi, comò, sedie, tavoli e tutto ciò che poteva servire in casa, con un lavoro di scalpello che spesso lasciava stupefatti quanti osservavano il falegname al lavoro. Infatti, spesso, molti di questi mobili avevano parti scolpite. Ciò stava a dimostrare che si lavorava per guadagnare e per vivere della propria attività, ma nell'attività ci si metteva anche l'anima per fare un lavoro bello oltre che ben fatto.

La bottega del falegname era sempre ingombra e disordinata. Almeno così appariva agli incompetenti. Il pavimento era sempre ricoperto di segatura e trucioli di diversa grandezza e dimensione, a seconda del legno, del pezzo e della pialla. Alle pareti erano appoggiate travi, travicelli e arnesi attaccati ai chiodi: seghe, trapani a mano, morsette e via dicendo.

La produzione del pane era un lavoro che si svolgeva di notte e il panettiere, seguendo tradizionali ricette, miscelava gli ingredienti (farina, acqua, sale, a volte strutto o altri grassi, lievito, riprodotto da un precedente pezzo d'impasto che si era lasciato riposare e prendere una naturale acidità sotto un piatto rovesciato in un angolo); poi lasciava lievitare l'impasto, lo modellava e lo cuoceva nel forno. Gli impasti erano diversi a seconda del prodotto che si voleva ottenere. Pur essendoci impastatrici elettriche e forni elettrici o a gas, gran parte del lavoro veniva fatto a mano.

Il mestiere del panettiere era molto faticoso. La notte, mentre tutti dormivano, lui si alzava, ogni giorno dell'anno e andava al lavoro per far avere sulle tavole, di buon'ora, quel croccante pane. Versava in un grande contenitore la farina,il lievito,un po' di sale e quando l'impasto era pronto cominciava il lavoro più duro , quello di lavorare con le mani la pasta fino a renderla più compatta e meno umida. La pasta veniva con forza schiacciata con pugni, allargata, riunita, girata e rigirata molte volte. Da quell'impasto ne staccava un pezzo, lo rendeva un lungo salame che poi tagliava con abilità e ad esso dava la forma di pagnotte. Successivamente i 'panetti' venivano sistemati su tavole e protette con teli perché lievitassero bene. Al momento giusto lo infornava, con movimenti secchi, metodici, con lunghe palette di metallo e aste di legno. 

Il pastore era colui che custodisce e si occupa del bestiame, generalmente un gregge di ovini. La pastorizia è una delle più antiche professioni esistenti. In passato allevavano principalmente le pecore perché erano fonte di carne, latte e lana.

Tra i doveri del pastore c'era quello di mantenere il gregge intatto e protetto dai predatori, quali lupi e volpi. Doveva, inoltre, controllare il momento migliore per tosare e mettere sul mercato la lana e mungere spesso gli animali, in modo da ricavare il latte. Alcuni pastori, col latte ricavato, producevano alcuni derivati, tra cui il formaggio.

Le feste e gli eventi della tradizione popolare

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San Carlo Borromeo

La festa in onore del patrono del paese, San Carlo Borromeo, viene commemorata la prima domenica del mese di Luglio. Nell'occasione, la statua del santo dopo la celebrazione della Santa Messa viene accompagnata in processione con la banda musicale per le vie del paese. Nel corso della serata la piazza è animata dalle note di orchestre e bande locali e dal colore di bancarelle e prodotti tipici.

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La Madonna del Rosario

La festa della Madonna del Rosario viene celebrata la prima domenica del mese di Ottobre. Come nel caso della festività di San Carlo Borromeo, la statua, terminata la Santa Messa, viene trasportata dagli uomini per le vie del paese, accompagnata dalla banda musicale, mentre le donne intonano canti eucaristici. La serata è animata da un'orchestra e piccole bancarelle che vendono prodotti tipici.

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A fochara

La tradizione prevede, alla vigilia della festa dell'Immacolata, di Natale, di Capodanno e dell'Epifania l'accensione, con enormi ceppi, di un grande fuoco nella piazza principale del paese. Intorno a questo fuoco, soprattutto negli anni passati, la gente si riuniva e trascorreva la serata mangiando patate e salsicce arrostite accompagnate da buon vino e da pane casareccio. Il tutto rallegrato dalla caratteristica musica di un vecchio organetto.

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A capu dei muarti

Questa tradizione ricorda molto la famosa festa americana di Halloween. I ragazzini, nel periodo estivo, vanno alla ricerca di grosse zucche mature, tonde e gialle, da svuotare con il coltello. Sulla parte esterna, poi, si incidono quattro fori (occhi, naso e bocca) e la zucca assume le sembianze di una testa di morto. I ragazzi, dopo aver sistemato al suo interno una candela, girano per il paese tenendole per il gambo, e i più birichini si divertono a depositarle sui davanzali delle finestre.

INFO

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